I territori periferici sono in crisi pre-agonica: è ormai in atto un fenomeno di ritorno nelle grandi città, con la contestuale crisi delle piccole città di provincia e delle aree più marcatamente rurali.

Tra il 2010 e il 2015, nel bel mezzo della grande crisi, il numero di occupati è aumentato nelle grandi città, mentre è calato significativamente in quelle di provincia.

Tutto questo è una conseguenza dello spostamento del baricentro dell’economia dal settore industriale a quello dei servizi. Dopo il passaggio dalla grande industria ai distretti produttivi localizzati sul territorio, ora è il terziario avanzato a trainare la ripresa, richiedendo grosse concentrazioni di popolazione e di potenziale clientela per creare economie di scala.

Questa traiettoria di sviluppo sta addensando le potenzialità di sviluppo nelle grandi aree metropolitane, mentre le periferie precipitano nell’abbandono per il taglio dei collegamenti, degli ospedali locali, dei servizi pubblici che non sono sostenibili in aree non densamente popolate.

L’Italia dei cento campanili, quella delle forze sane dei territori che costituivano l’ossatura dell’economia nazionale, si ritrova improvvisamente ad arrancare.

Lo slogan “piccolo è bello” non è più necessariamente virtuoso, anzi spesso è povero, spaventato, prigioniero di vassalli, valvassini e valvassori che spadroneggiano nelle città.

L’«Italia dei Comuni» appare obiettivamente malmessa, immobile, legata alle vecchie pratiche di una classe dirigente che ha abbandonato ogni ambizione e progetto che vada appena oltre la routine della sopravvivenza.

Nel 2009 c’erano solo due Comuni in bancarotta, e facevano notizia. Oggi sono 146 gli enti locali in pre-dissesto, 84 quelli in dissesto vero e proprio, cioè praticamente falliti, mentre sono aumentati del 380 per cento anche gli scioglimenti di comuni per infiltrazioni mafiose.

Il “mondo di mezzo” si sta impadronendo delle piccole città di provincia, sviluppando la sua rete di controllo del territorio, degli affari, delle emergenze, dell'erogazione di soldi pubblici. Non è “mafia” in senso stretto, almeno nell’accezione che siamo abituati ad attribuire a questo termine in Italia, ma è un sistema criminogeno nel quale alcuni metodi border line hanno successo perché sono riconosciuti come codice accettabile e persino affidabile.

Il più grande ostacolo alle ipotesi di rilancio produttivo dei territori periferici sono proprio questi “non-criminali”, che consumano la loro esistenza tra piccole malversazioni e reti clientelari fondate sul bisogno della povera gente, strutturando la loro “suburra di potere” in veri e propri clan che spesso vanno oltre le appartenenze e le etichette politiche.

Non sarà da questa gestione del territorio che si può immaginare arrivino nuove energie e slanci innovativi per il Paese. Ecco perché sarebbe ora di dire basta alla cieca esaltazione di questa rovinosa dimensione “locale” che sta costringendo progressivamente i territori a ripiegarsi su se stessi, avvitandosi in una crisi non solo senza precedenti, ma soprattutto senza speranze.

E’ necessario uno scatto d’orgoglio ispirato da un approccio europeo, che ormai rappresenta l'unica speranza per questa Italia piccola, che scivola nell'indigenza senza che nessuno se ne accorga, privata anno dopo anno dei servizi più banali, dai trasporti pubblici all'acqua potabile, dai servizi sanitari alla raccolta dei rifiuti, soffocata e avvelenata lentamente dall’insipienza di chi la amministra.

Domenica 9 aprile 2017