La battaglia che tassisti e ambulanti hanno scatenato a Roma in questa settimana ha riacceso i riflettori su una questione mai troppo approfondita in Italia: come far convivere le nuove tecnologie con la difesa dei posti di lavoro.

L’innovazione tecnologica sta riducendo da anni i livelli occupazionali. Ha cominciato nel settore produttivo, per poi allargarsi progressivamente al settore terziario, fino a coinvolgere i settori tradizionalmente basati per lo più sulla componente umana, come appunto i servizi alle persone e le attività commerciali.

Non lo dico per prendere la rincorsa per una battaglia di retroguardia, ma per richiamare l’attenzione sulla necessità di trovare modi nuovi e creativi per gestire questo cambiamento, da affiancare alle tradizionali lotte sindacali.

Mentre negli Stati Uniti alcune grandi catene commerciali stanno chiudendo centinaia di punti vendita e tagliando migliaia di posti di lavoro, nel Regno Unito le previsioni del British Retail Consortium (la federazione dei negozianti britannici) stimano che entro il 2025 un terzo dei lavoratori del settore (circa 900mila persone) perderà il lavoro, colpendo soprattutto le piccole imprese del commercio e le aree più povere.

In Italia la dinamica è appena leggermente rallentata, soprattutto per effetto della crisi strisciante che il Paese vive da un decennio. L’Ufficio Studi di Confcommercio ha calcolato (su dati Istat) che dal 2007 al 2016 gli occupati nel commercio sono scesi del 7%, mentre nel totale dell‘economia sono diminuiti del 5,5%.

Il principale responsabile di queste dinamiche è l’irruzione delle nuove tecnologie anche nella rete distributiva: l’e-commerce è un fenomeno che si sta sviluppando anche in Italia, con preoccupanti risvolti sulla tenuta dei piccoli negozi che rappresentano il collante sociale ed economico delle città.

Le battaglie di retroguardia non servono e l’unico modo per non morire di tecnologie innovative è quello di fare i conti la nuova realtà, magari stabilendo con esse un patto di collaborazione.

In questo senso, il tema delle ‘Smart Cities’ rappresenta un’occasione concreta per il ripensamento delle politiche urbane di sviluppo economico, dando corpo e dimensione tecnologica/infrastrutturale alla interoperabilità dei progetti: distretti del commercio che si intersecano con le produzioni artigianali; orti urbani che si interfacciano con la catena corta alimentare; attività turistiche che si intrecciano con lo sfruttamento economico del patrimonio monumentale e culturale.

Questa nuova visione, fatta di riqualificazione urbana, innovazione sociale e dialogo con le comunità locali, deve diventare il carattere identitario dei piani formulati per l’evoluzione del commercio nelle città di nuova generazione, in grado di sfruttare l’ecosistema creativo come leva per lo sviluppo economico del territorio.

La ‘urban experience’ - oggi resa possibile dalle nuove tecnologie digitali come la localizzazione e la georeferenziazione dei piccoli negozi; la multicanalità nella quale possono convivere showroom e canali di vendita online; la trasmissione digitale dei segnali radio e dei sensori; i nuovi strumenti di misurazione e diagnostica, la modellistica 3D, le piattaforme digitali - rappresentano tutti elementi di base per la formulazione di una pianificazione strategico-operativa di nuova generazione.

E’ la logica dell’«innovare insieme», creando reti stabili di imprese e costruendo progetti innovativi che partano da una comprensione profonda dei cambiamenti in atto e delle loro implicazioni per il settore del commercio e che colgano le vere opportunità offerte delle nuove tecnologie digitali, costruendo strumenti digitali ad hoc (‘cloud’) e cultura (tramite formazione e metodologie) per rendere efficiente ed efficace il lavorare “in rete”, pur mantenendo le singole specificità aziendali.

L’obiettivo finale di questo approccio è rappresentato dalla costruzione di un’offerta complessiva di città in grado di intervenire su qualità, vitalità, efficienza e vivibilità.

La crescita passa, quindi, per un incremento di competitività che si fonda, da una parte, su un “contesto” complessivamente più efficiente e dall’altro, sulla duttilità ed adattabilità del tessuto delle medie, piccole e piccolissime imprese.

domenica 26 febbraio 2017