«È chiaro ormai da molti anni che alla fine del percorso scolastico troppi ragazzi scrivono male in italiano, leggono poco e faticano a esprimersi oralmente. Da tempo i docenti universitari denunciano le carenze linguistiche dei loro studenti (grammatica, sintassi, lessico), con errori appena tollerabili in terza elementare. Nel tentativo di porvi rimedio, alcuni atenei hanno persino attivato corsi di recupero di lingua italiana».

È questo l'incipit della lettera aperta che 600 docenti universitari (tra cui numerosi Accademici della Crusca) hanno indirizzato qualche tempo fa al Presidente del Consiglio, alla Ministra dell'Istruzione e al Parlamento italiano, chiedendo interventi urgenti che riconsiderino i percorsi scolastici per l’acquisizione delle competenze di base, uniti all'introduzione di verifiche nazionali periodiche durante gli otto anni del primo ciclo: dettato ortografico, riassunto, comprensione del testo, conoscenza del lessico, analisi grammaticale e scrittura corsiva a mano.

Tra i firmatari anche il prof. Massimo Cacciari, che sostiene che «[...] la colpa non è degli studenti, né degli insegnanti, ma di chi ha smantellato la scuola disorganizzandola. [...] L'impianto dei vecchi licei è stato smontato senza riflettere su quali competenze siano comunque basilari per qualsiasi corso di studi. Prima c'era il nucleo forte di materie come italiano, latino, storia e filosofia al classico, lo scientifico cambiava di poco con l'aggiunta di matematica. Adesso si taglia il latino, si taglia la filosofia, pilastri per un apprendimento logico. [...] Sembra che l'unica cosa indispensabile sia professionalizzare, ma non si vuole capire che alla base di ogni apprendimento ci sono le competenze linguistiche».

Questo pur autorevole grido di allarme porta con sé l’evidente limite di circoscrivere la questione al solo mondo scolastico. Come infatti ha argutamente rilevato in un brillante intervento il linguista Raffaele Simone «a indebolirsi non è la “lingua italiana” come materia scolastica. È molto di più: non stanno andando in fumo solo l’ortografia, la grammatica, la sintassi e il lessico, ma tutta quella formidabile macchina mentale (un tesoro dell’Occidente) con cui si acquista, conserva, elabora la conoscenza. Parlo insomma dell’intera attrezzatura che si usa per acquisire conoscenze e elaborarle, esporle, farle valere, ricordarle, usarle nella pratica».

Peraltro, il problema non appare essere solo italiano, ma mondiale. Già nel 1987, il filosofo americano Allen Boom nel suo saggio “The Closing of the American Mind” (La chiusura della mente americana) sosteneva che «l'istruzione superiore […] ha impoverito le anime degli studenti di oggi», sostenendo al contempo che la responsabilità era da imputare all’apertura imposta dal “relativismo culturale” che, minando il pensiero critico, elimina il "punto di vista" che definisce le culture e si trasforma in un fattore di impoverimento per la stessa società.

Al di là delle dispute ideologiche, resta il fatto che la “de-alfabetizzazione” delle nuove generazioni è stata aggravata dall’uso indiscriminato e scriteriato del digitale di massa.

La diffusione generalizzata di smartphone e tablet ha rappresentato una grande autostrada per la diffusione di orribili pratiche linguistiche: faccine al posto di verbi e aggettivi; disinvolte fusioni di parole come “massì”, “maddai”, “evvai”; raggelante uso di apostrofi, accenti, punteggiatura; problematica coniugazione del tempo dei verbi.

Di fronte a questo disastro dilagante, non si può pensare che basti un qualche pur necessario correttivo da apportare nei percorsi scolastici per contrastare il blocco computazionale-educativo indotto dall’uso scriteriato dei dispositivi tecnologici.

E’ necessario ripartire dalle tecnologie digitali, che continuano ad essere il principale fattore abilitante per il cambiamento e per la costruzione di nuovi scenari di sviluppo, sollecitando un uso più appropriato dei dispositivi tecnologici, finalizzandoli al miglioramento delle competenze e alla trasmissione della conoscenza.

E questo il principale e più urgente compito che ricade sulle spalle delle Pubbliche Amministrazioni, che hanno a disposizione i programmi di sviluppo dell’Agenda Digitale Italiana. Tali programmi rappresentano altrettante occasioni per recuperare i gravi ritardi accumulati, potendo contare su finanziamenti per sviluppare l’inclusione sociale e l’educazione alla cittadinanza; la promozione di una cultura cittadina condivisa e partecipata; lo sviluppo della cultura digitale in collaborazione con il sistema scolastico locale.

domenica 23 aprile 2017