Edito da Vertigo Edizioni di Roma, è disponibile in tutte le librerie la nuova edizione del romanzo "L'unguento delle streghe".

Una morte misteriosa e improvvisa infrange la quiete di una sonnacchiosa provincia pugliese.

Qual è la vera identità della donna che è stata trovata priva di vita?

Era Nadira Az-Zakim, una funzionaria egiziana delle Nazioni Unite coinvolta nelle attività della rete dello Jihād islamico, oppure Jolanda Cilone, che spinta da una semplice curiosità si era avvicinata alla millenaria cultura araba e alla sfaccettata religione musulmana?

Tra coloro che si stanno occupando del caso ci sono persone che credevano di conoscerla molto bene, tra cui l'ex marito Pigì Sovieri giornalista d'inchiesta del Gazzettino di Puglia.

Quel che è certo è che Jolanda era entrata a far parte di un gioco perverso e pericoloso, che l’ha portata alla morte.


Una spy-story dai risvolti cupi e oscuri, un giallo che si dipana lungo molteplici spunti di indagine, tra estremismo religioso e politica legata ad ambienti corrotti e malavitosi, fino ad approdare a un epilogo tanto inaspettato quanto sconvolgente.

Un nuovo anno per scoprire nuove strade, per vivere un'idea, magari farsi male per difenderla, per riempirti il cuore di emozioni, per combattere senza smettere mai!

Perché senza sogni il futuro non avrebbe lo stesso sapore...

Lo confesso subito, così mi tolgo un peso dallo stomaco: sono sempre stato un po’ “albanese dentro”. Per carattere schivo e riservato, spesso scambiato per rinunciatario o rassegnato. Per orgoglio delle tradizioni, sovente interpretato come insano attaccamento al passato. Per il senso dell’amicizia, frequentemente equivocato come ingenuità e credulità.

E’ con questo bagaglio intimo che arrivo nel porto di Valona sabato 25 marzo 2017, di primo mattino. Dal ponte della nave rivolgo uno sguardo di meraviglia alla bellissima baia illuminata dalla giornata di sole, mando un messaggio telepatico a mio padre, di cui ricorre oggi il nono anniversario della scomparsa, e mi appresto a scendere dal traghetto per incontrare il mio amico Fate Valaj che, gentile come sempre, è venuto a ricevermi.

Appena fuori dal recinto portuale, mi accorgo che la Città è ancora una volta cresciuta tanto, a poco più di un anno dall’ultima volta che sono stato qui: sembra che Valona sia “posseduta” dal demone della crescita. Ripeto ad alta voce questo giudizio a mia moglie Cristina, che mi ha accompagnato e che la vede per la prima volta.

In cuor mio, ho sempre paragonato Valona a Salerno: per il colpo d’occhio del paesaggio, per l’infinita maestosità del lungomare, per lo sviluppo urbano della città che segue la linea del mare.

Arrivo in albergo, disfo la valigia, mi rinfresco e, nonostante la stanchezza della notte in viaggio, mi tuffo nella vita cittadina.

Fate è un ospite impagabile, attento ai dettagli e prodigo di attenzioni.

Gli dico che vorrei un caffè. Detta così sembra una cosa semplice, ma chi è stato qualche volta all’estero sa bene che un italiano fuori dall’Italia soffre per il caffè che sembra una ciofeca e per la pasta che non è mai al dente.

Questo quando vai all’estero, ma non quando sei a Valona.

Valona è la città albanese più italiana: per il clima, per la gente che parla fluentemente la nostra lingua, per il suo olio di oliva, per il pesce fresco, per il caffè italiano.

Mi crogiolo al sole, fumando il mezzo toscano che solitamente mi concedo in tarda mattinata. Mi sento sciocco ripensando a tutti i dubbi che hanno preceduto questo viaggio: qui sono tra amici veri e disinteressati, che vogliono dimostrarmi con ogni mezzo il sentimento di stima e di gratitudine che li unisce a me.

Sono ancora impastato di questo beato ottundimento, che sulla veranda dell’hotel arriva il Sindaco Dritan Leli per un breve saluto. E’ molto più giovane di me (già, io sono ormai vecchio nonostante non riesca ancora a farmene una ragione): capelli brizzolati, jeans e maglietta polo “Ralph Lauren”, sorriso cordiale e coinvolgente. Mi saluta sfoggiando un ottimo italiano e mi ringrazia per aver accettato il suo invito a presenziare alla manifestazione prevista per l’indomani.

Si scusa di non poter restare con me a pranzo, a causa di impegni istituzionali improrogabili e, con un largo sorriso, mi affida a Fate Velaj che, candidamente, mi anticipa l’intenzione di portarmi a pranzare in un posto forse non elegante, nel quale però, dice lui, «le cinque stelle sono nel piatto».

In auto percorriamo il lungomare in direzione sud, fino ad uscire dal centro abitato. I grandi palazzi che si affacciano sulla baia vengono progressivamente sostituiti da villette familiari che si arrampicano sul costone che sale ripido dal mare verso la montagna retrostante. Mentre l’auto di Fate rallenta, noto sulla destra uno spiazzo desolato nel quale spicca una specie di container aperto da un solo lato.

C’è una gran folla che si accalca verso un punto specifico, senza che io riesca a capirne il motivo. Ad un tratto, da quella calca disordinata emerge una sorta di Capitan Nostromo: è Baçi, il pescatore di tonni, uno dei personaggi più simpatici e pittoreschi della nuova Valona.

Ci viene incontro sorridente, saluta Fate e poi si rivolge a me in italiano: «Buongiorno signore. Io sono venuto a Brindisi nel 1991 e la ringrazio ancora per quello che avete fatto per me e i miei fratelli albanesi».

Io rimango interdetto da questo approccio, anche se penso che sia stato Fate ad suggerirgli chi sono. Invece no, Baçi il pescatore di tonni mi ha riconosciuto autonomamente e mi invita ad avvicinarmi al banco del pesce. Mi indica un tonno fresco appeso per la coda («è un pinna gialla, signore. L’ho preso con la lenza», mi dice all’orecchio, come a farmi una confidenza riservatissima).

Baçi si sente in dovere di illustrarmi tutta la sua mercanzia «Signore, tutto questo pesce l’ho pescato questa mattina. Io mi alzo ogni giorno alle 6:00 e con la mia barca vado lì, verso Capo Linguetta, dove pesco i miei tonni».

Si avvicina al banco e prende da una vasca piena di acqua marina un enorme “tiratufolo” (in italiano, limone di mare), lo apre e me lo offre. E’ lungo almeno quindici centimetri, non ne ho mai visti di così grandi, forse perché a Brindisi non diamo loro tempo di crescere abbastanza.

Mia moglie Cristina ne approfitta, mentre io declino gentilmente l’offerta: se mi lascio andare, mi siedo lì e gli spolvero tutto il banco…!

Fate mi indica una sorta di saletta poco discosta, che in realtà è un altro container con le finestre, e mi chiede se ritengo opportuno prenotarla per la cena della sera, quando saranno arrivati tutti gli altri ospiti attesi: la delegazione della Regione Puglia e quella dei Comuni del leccese. Lo rassicuro, convinto che quella sistemazione sarà di gradimento di tutti.

Saluto Baçi, dandogli appuntamento per la serata, e riprendo il viaggio con Fate verso il Parco Llogara, che si inerpica da un’altitudine di 470 metri fino a più di 2000 m.

Il viaggio su per le montagne mi schiude scenari naturali impensabili: fittissime foreste di “pino bandiera” e frassino si rincorrono lungo i fianchi della montagna. L’aria si è improvvisamente rarefatta e il fischio alle orecchie mi fa intendere che stiamo salendo velocemente in altitudine. Cristina non sta più nella pelle: mia moglie ama la montagna e mai avrebbe immaginato che venendo a Valona, città di mare, si sarebbe goduta la vista di cime ancora innevate a fine marzo. Niente da fare, vuole immortalare il momento e alla fine riesce ad “estorcermi” la foto di rito.

La zona è riccamente dotata di infrastrutture alberghiere: la loro densità è davvero impressionante. Mi spiegano che, in estate, molti turisti preferiscono alloggiare qui, scendendo al mare di giorno e godendosi il fresco dei boschi alla sera.

Arriviamo alla nostra meta, un albergo a strapiombo sulla baia. C’è una densa foschia che impedisce la vista del mare, ma mi assicurano che da quella postazione, nei giorni tersi di tramontana, si riesce a vedere Corfù da un lato e Otranto dall’altro.

Il pranzo è costituito da un antipasto di verdure grigliate, feta e olive, patate e spinaci, agnello cotto al girarrosto. Conoscendo le usanze locali, mi tengo molto leggero, non sia mai che il mio stomaco non riesca a rimettersi in sesto per l’ora di cena: sarebbe un’imperdonabile scortesia!

Dopo il pranzo, riesco finalmente a tornare in albergo per un po’ di riposo.

Intorno alle 18,00 siamo pronti per andare a piedi verso il Teatro Petro Marko, risalendo il viale principale di Valona, il Boulevardi Ismail Qemali, affettuosamente soprannominato dagli italiani "via Roma". Nel Teatro Petro Marko, il Consolato Generale d’Italia a Valona offre alla cittadinanza un concerto di musica classica per festeggiare il 60° anniversario dei Trattati di Roma.

Siamo appena usciti dall’albergo e mi sto guardando intorno con l’aria ancora un po’ assonnata, quando Cristina mi strattona per un braccio, indicandomi il Sindaco di Valona che, dall’altro lato della piazza, sta richiamando a gesti la mia attenzione.

Metto finalmente a fuoco la situazione e, mentre vado incontro a Dritan Leli, mi accorgo che insieme a lui c’è il Primo Ministro albanese, Edi Rama.

Ora, dovete sapere che io seguo Edi Rama sin dal 2000 quando, eletto Sindaco di Tirana a 36 anni, spiazzò tutti con la famosa iniziativa di far dipingere con colori accesi e sgargianti i palazzi di Tirana, rompendo con la grigia ed anonima tradizione edilizia di matrice vetero-comunista.

Non fu certamente l’unica iniziativa di Rama in favore della sua città, ma fu quella che segnò la popolarità internazionale del giovane Sindaco-Artista, attirando l’attenzione della comunità internazionale sulla nuova Albania giovane ed intraprendente che, all’alba del Terzo Millennio, cercava di farsi largo lungo la strada della modernità e dell’innovazione.

Pur essendo informato della presenza del Premier alla manifestazione di Valona, quell’incontro accidentale mi provoca una vera emozione. Gli vado incontro con decisione e mentre il Sindaco di Valona mi presenta, Rama mi stringe la mano e mi dice «Come va? Ora noi abbiamo una manifestazione pubblica. Ci vediamo domattina», e riprende a procedere con le ampie falcate dettate dalla sua notevole altezza.

Arrivato al Teatro Petro Marko, mi accoglie la dottoressa Luana Alita Micheli, Console Generale d’Italia a Valona. Lo spettacolo è di ottimo livello, gli artisti albanesi (un violino, un piano e un violoncello) interpretano brani di Beethoven, Bach, Mozart, Paganini, oltre che di Eugjen Gargjola che è il Maestro della serata.

Dopo questo gradevole intermezzo, sono pronto per il gran finale: la cena da Baçi. Arrivo per primo perché Fate è impegnato a coordinare gli altri ospiti nei vari alberghi.

La stanzetta che avevo perlustrato nel pomeriggio si presenta con un’unica tavolata per almeno 20-25 persone. Sulla tavola imbandita ci sono già piatti di frutti di mare e tonno cucinato in diverse modalità.

Mentre aspettiamo gli altri, si avvicina Baçi che in poche battute cerca di raccontarmi tutta la sua esperienza italiana. Continua a ringraziarmi e si dichiara obbligato a vita nei confronti dell’Italia che gli ha cambiato in meglio la vita, rendendolo una persona diversa e migliore. Mi riferisce che è tornato stabilmente in Albania da più di dieci anni e, grazie a quello che ha appreso in Italia, ha avviato la sua attività di pesca e ristorazione che riscuote grande successo a Valona.

La cena è un gran successo per Baçi: è orgoglioso delle sue sogliole alla griglia, dei merluzzi fritti, del tonno fresco alla brace. Ed è tanto contento che i suoi amici italiani apprezzino il suo pesce e la sua cucina da tirar fuori la sua riserva personale di raki.

La raki nella cultura gastronomica albanese ricopre un ruolo importante poiché funge da aggregatore sociale e viene consumata quando le persone si incontrano e stanno assieme: è considerato grave atto di maleducazione avere ospiti in casa e non offrire loro un bicchiere di raki come benvenuto.

Finita la cena, saluto con abbraccio il mio nuovo amico pescatore di tonni. Baçi mi invita a ritornare in estate, con la promessa di portami con lui in una battuta di pesca al tonno. Il mio sguardo tra lo scettico e il sarcastico provoca una risata generale che conclude la serata.

* * *

La mattina successiva, domenica 26 marzo, è quella dedicata alla manifestazione di commemorazione del ventennale della tragedia di Otranto, nella quale morirono 81 albanesi. Nel corso della manifestazione è anche previsto che mi venga conferita la Cittadinanza Onoraria di Valona.

Il piazzale antistante il Teatro Petro Marko è pieno all’inverosimile. Le misure di sicurezza sono rigide: i metal detector controllano ogni persona che entra, ma quando arriva il mio turno l’incaricato della sicurezza mi sorride e mi fa cenno di passare senza controllare né il mio zaino, né la borsa di Cristina.

Entro nella platea del teatro e un incaricato mi fa strada verso una fila di posti riservati. Mentre poggio l’impermeabile sulla poltrona che mi è stata riservata, mi viene incontro un signore alto e distinto che mi tende la mano e si presenta «Buongiorno, sono Alberto Cutillo, l’Ambasciatore d’Italia in Albania. Sono davvero lieto di fare la sua conoscenza». Porgo anch’io i miei saluti e mi guardo intorno: il teatro è ormai gremito, si attende solo l’arrivo del Primo Ministro per cominciare.

Agli ospiti italiani vengono consegnati gli auricolari per la traduzione simultanea. Fate Velaj sale sul palco a apre la manifestazione leggendo i messaggi di saluto pervenuti da Romano Prodi, ex Presidente della Commissione Europea, e da Franz Vranitzsky, ex Cancelliere d’Austria: sono gli altri due Cittadini Onorari di Valona.

Tra qualche minuto io sarò il terzo: comincio a realizzare più nitidamente il peso politico e la valenza che il Municipio di Valona attribuisce all’onorificenza che sta per attribuirmi.

Viene chiamato sul palco il Sindaco di Valona, Dritan Leli, che ha il compito di consegnare l’onorificenza. Smette di parlare in albanese e annuncia di voler leggere la motivazione dell’onorificenza in italiano «Conferiamo al dottor Giuseppe Marchionna il titolo di Cittadino Onorario di Valona con la seguente motivazione: per aver innescato e avviato la grande gara di solidarietà e di sostegno materiale offerto dalla Città di Brindisi ai nostri concittadini durante il grande esodo del marzo 1991».

Un groppo alla gola quasi mi impedisce di respirare. Sono emozionato e commosso, ma il peggio deve ancora arrivare.

Vengo chiamato sul palco. Mi alzo per raggiungere il corridoio tra le poltrone che porta verso il palcoscenico e con la coda dell’occhio vedo il Primo Ministro Edi Rama che si è alzato in piedi e mi applaude. Tutto il teatro lo imita e io sono costretto a coprire i venti metri che mi separano dal palco tra due ali di persone che battono le mani e mi sorridono.

Il Sindaco di Valona mi abbraccia e mi consegna la pergamena che certifica il titolo di Cittadino Onorario e la medaglia raffigurante lo stemma del Comune di Valona.

Il pubblico del Teatro Petro Marko applaude e io mi ritrovo ad esibire un goffo gesto di ringraziamento che ricorda tanto i rituali giapponesi.

Ora il problema è quello di parlare: sono travolto dall’emozione e rischio di fare una delle figure più imbarazzanti della mia vita.

Invece, incredibilmente, riesco a trovare la lucidità per ricordare fedelmente i giorni dell’esodo, la paura degli scontri che mi attanagliava, l’appello a non avere paura lanciato attraverso radio e tv, e poi la risposta meravigliosa del popolo brindisino, gli slanci incredibili di solidarietà e fratellanza tra due popoli. Lo grido dal microfono mentre la voce mi si spezza per l’emozione: i brindisini hanno dimostrato al mondo intero cosa significa accoglienza e fratellanza, integrazione e rispetto per l’altro. Per questo saremo per sempre un esempio da imitare!

Prendo in mano la medaglia e indicandola a tutta la platea mi dichiaro onorato dell’onorificenza, ma sottolineo che la intendo attribuita, per il mio tramite, a tutta la Città di Brindisi e alle migliaia di cittadini che non si sono risparmiati per giorni interi, pur di aiutare quel popolo dolente e sofferente che chiedeva pane e libertà.

La platea mi applaude, io torno al mio posto ripensando a quell’esperienza che mi ha cambiato la vita. Mi sento spossato dall’intensità delle emozioni: sono attonito, basito. Mai avrei immaginato una tale cerimonia carica di pathos, a distanza di tanti anni.

Ma gli albanesi sono così: non dimenticano mai, nel bene e nel male.

E me lo conferma il Primo Ministro Edi Rama che inizia il suo discorso conclusivo rivolgendosi ancora una volta a me «Permettetemi a nome di voi tutti di esprimere la mia più profonda gratitudine al Sindaco di Brindisi di quel tempo, il nuovo Cittadino Onorario di Valona, per quello che ha fatto allora e per essere oggi qui con noi, in questo momento così toccante, per ricordare una tragedia che ha scosso l’Albania e l’Italia. Molte grazie per la sua presenza».

Dopo l’intervento di Rama, si conclude la manifestazione nel teatro. Ora è previsto un corteo verso il mare per gettare corone di fiori in memoria delle vittime della tragedia di Otranto.

Esco dal foyer del teatro per partecipare al corteo, ma una moltitudine di gente comune mi viene incontro, mi stringe la mano e mi ringrazia, mi abbraccia, mi chiede di scattare una foto insieme. Mi convinco del fatto che, al di là del riconoscimento istituzionale, è la gente comune che vuole dimostrare di non aver dimenticato chi gli ha teso una mano.

* * *

La manifestazione è finita. C’è ancora il pranzo ufficiale a cui partecipano le Autorità albanesi e la delegazione italiana.

Colgo l’occasione per fare dono al Primo Ministro, al Sindaco di Valona, alla Presidente del Consiglio Comunale di Valona e all’Ambasciatore Italiano in Albania del volume edito nel 2011 dal Comune di Brindisi per il ventennale del grande esodo.

Illustro a tutti i destinatari il senso del libro, quello di rappresentare una ricostruzione storica e documentale di quei giorni terribili, con la speranza che “l’inferno di Brindisi” non si ripeta mai più e che non ci sia più bisogno di scrivere un diario che lo racconti.

Il Primo Ministro Edi Rama coglie al volo il senso dell’iniziativa e, scherzosamente, mi rivolge un brindisi con il quale si augura che la vecchia Albania rimanga confinata in quel libro, mentre la nuova Albania si proietta a diventare un importante partner europeo.

E’ giusto così. E mi vengono i lucciconi ad immaginare i figli di quei disperati che sbarcarono a Brindisi nel 1991 che oggi si impegnano per costruire la nuova Albania europea.

Già, perché io sono sempre stato un po’ “albanese dentro”. E quei ragazzi li sento un po’ figli miei.

Domenica 2 aprile 2017

 

Il superamento del ruolo dei partiti intesi come strumento di mediazione e di raccordo tra cittadini, società ed istituzioni ha determinato una nuova anomalia: una sorta di “occupazione indebita” degli enti istituzionali da parte di quegli organismi che non godono più della fiducia popolare. Ciò sta alimentando una pericolosa incrinatura tra cittadini e istituzioni, che viene quotidianamente allargata dalla spinta delle pulsioni populiste e antipartitiche.

La vera sfida del rinnovamento sta nel cambiamento di una cultura di governo che è cresciuta e si è consolidata all’interno di un modello – quello dei grandi partiti di massa – che ormai ha intrapreso un declino inarrestabile, senza che nel frattempo si sia affermata una modalità alternativa di selezione delle classi dirigenti, di verifica delle loro competenze e capacità. Da qui l’oggettiva debolezza dei nuovi soggetti politici collettivi che sta progressivamente determinando la percezione di un crescente svuotamento della politica, di cui il declino della partecipazione sembra costituire il naturale corollario di una più generale depoliticizzazione della società.

Ecco quindi nascere l’urgenza di una profonda riflessione sulle risposte da fornire ai più evidenti deficit democratici che caratterizzano la vita pubblica italiana, nella consapevolezza che la principale priorità sia rappresentata dalla costruzione di un inedito modello di partecipazione dei cittadini ai processi decisionali, che si ponga l’obiettivo di colmare l’abisso che attualmente separa la cittadinanza dalle istituzioni, minando alla base il concetto di rappresentanza politica.

L’impegno dell’autore si è concentrato nel definire nitidamente i confini delle varie aggettivazioni di democrazia che spesso sono usate a sproposito: la democrazia deliberativa è diversa dalla democrazia partecipativa, ma anche dalla democrazia diretta. E tutte e tre sono costrette a convivere con la democrazia rappresentativa che è il baluardo su cui si fonda lo Stato di diritto democratico.

In questo contesto si va affermando sempre più il concetto di “democrazia deliberativa”, il cui carattere non-ideologico sottolinea appieno la sua prassi istituzionale fondata su tre aspetti fondamentali: la massima inclusività, il suo metodo dialogico, la sua virtù cognitiva. Il suo approccio allarga lo spettro dell’analisi, sposta l’accento dalla mera procedura di aggregazione di maggioranze verso la dimensione di un consapevole scambio informato, coinvolge i cittadini utilizzando le nuove tecnologie per giungere alla formazione di preferenze ed orientamenti che si indirizzano verso una valutazione globale del bene comune.

La democrazia deliberativa si va caratterizzando quindi come “ideale normativo” verso il quale tutte le istituzioni dovrebbero tendere, definendo i contorni di un processo che può diventare prassi e testimonianza di un silenzioso transito della democrazia italiana verso nuove formule istituzionali.

Puoi scaricare gratuitamente l'e-book "La democrazia deliberativa" cliccando sull'allegato che segue.

L’eccessiva produzione dei rifiuti solidi urbani, rappresenta uno dei maggiori problemi del terzo millennio, soprattutto in riferimento alle necessità sempre più emergenti di trovare una soluzione al loro smaltimento. Questo continuo proliferare di rifiuti evidenzia, in modo incontrovertibile, come il consumo irrazionale di risorse sia divenuto un gravissimo problema, che ogni singolo individuo contribuisce ad alimentare col proprio stile di vita.

Si continua a ricorrere a nuovi impianti di discarica o di incenerimento che, garantendo brevi periodi di respiro al sistema, rinviano ad un futuro sempre più prossimo il punto di collasso del sistema stesso. Questo quadro problematico porta con sé la crescita dei problemi legati all’inquinamento ambientale e la preoccupazione che una gestione dei rifiuti così organizzata sia sempre più facile preda delle sfere criminali, mentre la disponibilità di nuove porzioni di territorio da sacrificare ai rifiuti si fa sempre più scarsa, così come il consenso dei cittadini che vedono peggiorare la propria qualità di vita.

E’ ormai evidente che è necessaria una rivoluzione copernicana che riconsideri il ciclo di vita dei prodotti, proponendo un nuovo ciclo “dalla culla alla culla”, in ciò assegnando ad ogni prodotto la possibilità concreta di vivere una nuova fase di vita, riducendo nel frattempo lo smodato utilizzo di nuove materie prime la cui disponibilità non è affatto illimitata.

Questo approccio diventa essenziale far crescere e qualificare una vera e propria “industria di preparazione al riciclo”, che abbia l’obiettivo di creare un’economia del recupero di materia, ma anche di ricercare nuovi sbocchi nell’industria manifatturiera fondata sulle materie seconde.

* * * * *

Giuseppe Marchionna, La Fabbrica dei Materiali, Youcanprint, ISBN 9788892635685

L'organizzazione del ciclo di raccolta integrata dei rifiuti con annesso Distretto Recupero Materia in un perimetro di Area Omogenea della Regione Puglia

Pagine 245. Versione cartacea € 18,00 - E-book € 3,99 - dal 15 novembre 2016 in tutte le librerie on-line

Byung-Chul Han è un filosofo nato a Seul che insegna filosofia e teoria dei media a Berlino. Negli ultimi anni ha pubblicato alcuni saggi sulla globalizzazione e sugli effetti delle nuove tecnologie sugli esseri umani e sulla società.

Le riflessioni di Han sono dedicate al nuovo popolo che vive nel mondo dei media digitali e che lui ha definito “sciame digitale”: una comunità composta da individui anonimi che solo apparentemente condividono pensieri e azioni, ma che spesso si perdono nella conta dei “mi piace” e non riescono a trovare modalità efficaci per esprimere le loro energie collettive.

La principale caratteristica di questa nuova folla senza anima e spirito è il permanente stato di eccitazione che si traduce in forme di scrittura emotiva ed informale.

Le ondate di indignazione sono molto efficaci nel mobilitare e mantenere desta l’attenzione […] tuttavia, non sono in grado di strutturare il discorso […] montano all’improvviso e si disfano altrettanto velocemente”, scrive Han per segnalare che la protesta digitale è molto spesso effimera, contingente, sterile e tende sempre più a sostituire le forme di protesta storica a cui siamo stati abituati prima dell’avvento di Internet.

In questo contesto, il pubblico (in particolare quello più giovane) viene sempre più coinvolto nel sensazionalismo digitale con i suoi picchi che degradano rapidamente in calma piatta, o vengono a loro volta superati da nuovi picchi, delineando così un’idea di massa popolare superficiale e distratta che si muove come una sorta di nebulosa gassosa che appare e scompare nella sua evanescenza.

Per questo lo sciame digitale esprime un potere debole e apparente, che non incide efficacemente proprio perché non crea un “contropotere”.

L’applicazione di queste controverse dinamiche collettive alla sfera della comunità sociale assume poi un valore addirittura esiziale per la dialettica tra Società ed Istituzioni.

La partecipazione politica – in questa triste epoca di partiti rinchiusi in uno ristretto recinto di casta e incapaci di offrire un’efficace rappresentanza democratica – è ormai un appannaggio della “democrazia digitale”, popolata da “cittadini di tastiera” che esprimono consenso o dissenso con un clic.

Ormai siamo entrati nella democrazia dei “mi piace”, la cui efficacia temporale è quasi nulla, rappresentando unicamente espressioni contingenti che non riescono a costruire una reale dialettica politica in grado di giungere ad una sintesi effettiva di costruzione del consenso (o del dissenso).

Conclusivamente, si può affermare che è stata inaugurata la fase della “psicopolitica”, nella quale il potere non ha più alcuna necessità di interdire, censurare, sopprimere la libertà, ma anzi si mostra parecchio permissivo nei confronti di chi si è volontariamente rinchiuso in un circuito sterile di lamentele ed aggressività gratuite e nel quale la mediocrità ed il conformismo si sono imposti irresistibilmente.

Non c’è più alcun interesse verso i temi della costruzione di una comunità, ma solo nei confronti della lamentazione per la cattiva politica, proprio come il consumatore si lamenta di merci e servizi che non lo soddisfano.

I politici diventano quindi, banalmente, i fornitori di questo deprimente servizio e la trasparenza viene invocata non già per svelare, comprendere e controllare i meccanismi decisionali, ma solo per trovare più facilmente presunti vizi dei vari personaggi da fustigare pubblicamente.

A ben riflettere, tutti questi sono ingredienti di una democrazia da spettatori, nella quale il cittadino guarda l’azione invece di agire, mentre il suo status si rimpicciolisce e i suoi diritti non sono più quelli del protagonista, ma del pubblico pagante: quello che fa numero, ma non fa più opinione.

Al posto delle ideologie ora ci sono le emozioni, dove c’erano i valori crescono i sentimenti, spesso nella forma del grande risentimento collettivo che è diventata la cifra del nostro scontento, mentre ci incamminiamo distrattamente a sopravvivere in una società ormai privata dei suoi valori fondanti.

Spero che in questo nuovo anno voi facciate errori. Perché se state facendo errori, allora state facendo cose nuove, provando cose nuove, imparando, vivendo, spingendo voi stessi, cambiando voi stessi, cambiando il mondo. State facendo cose che non avete mai fatto prima e, ancora più importante, state facendo qualcosa.

Questo è il mio augurio per voi e per tutti noi ed il mio augurio per me stesso.

Fate Nuovi Errori. Fate gloriosi, stupefacenti errori. Fate errori che nessuno ha fatto prima. Non congelatevi, non fermatevi, non preoccupatevi che non sia “abbastanza buono” o che non sia perfetto, qualunque cosa sia: arte o amore o lavoro o famiglia o vita. Qualunque cosa abbiate paura di farle, fatela!

Fate i vostri errori, il prossimo anno e per sempre.

Neil Gaiman, scrittore

 

 Il mio più grande augurio per un anno 2016 ricco di entusiasmo, opportunità e “cose nuove” da fare

Pino Marchionna

E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.263 dell’11/11/2015 il ” Bando per la concessione di contributi a favore delle reti di impresa operanti nel settore del Turismo” a cura del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo.

La data di scadenza di presentazione della domanda è il 15 gennaio 2016 alle ore 16,00.

I destinatari del suddetto bando:

a) raggruppamenti di microimprese con forma giuridica di “contratto di rete”;

b) raggruppamenti di microimprese che possono assumere la forma giuridica di A.T.I. (Associazione temporanea di imprese Costituite), Consorzi e Società consortili costituiti anche in forma cooperativa;

c) per le aggregazioni non ancora costituite, il legale rappresentante dovrà sottoscrivere nell’ambito dell’istanza l’impegno a costituire formalmente l’aggregazione.

A partire dalle ore 10,00 del 14 Dicembre 2015 il capofila dovrà registrarsi sulla piattaforma telematica messa a disposizione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo per la compilazione della domanda.

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“Ho contato i miei anni ed ho scoperto che ho meno tempo da vivere da qui in avanti di quanto non ne abbia già vissuto.

Mi sento come quel bambino che ha vinto una confezione di caramelle e le prime le ha mangiate velocemente, ma quando si è accorto che ne rimanevano poche ha iniziato ad assaporarle con calma.

Ormai non ho tempo per riunioni interminabili, dove si discute di statuti, norme, procedure e regole interne, sapendo che non si combinerà niente…

Ormai non ho tempo per sopportare persone assurde che nonostante la loro età anagrafica, non sono cresciute.

Ormai non ho tempo per trattare con la mediocrità. Non voglio esserci in riunioni dove sfilano persone gonfie di ego.

Non tollero i manipolatori e gli opportunisti. Mi danno fastidio gli invidiosi, che cercano di screditare quelli più capaci, per appropriarsi dei loro posti, talenti e risultati.

Odio, se mi capita di assistere, i difetti che genera la lotta per un incarico maestoso. Le persone non discutono di contenuti, a malapena dei titoli.

Il mio tempo è troppo scarso per discutere di titoli.

Voglio l’essenza, la mia anima ha fretta…

Senza troppe caramelle nella confezione…

Voglio vivere accanto a della gente umana, molto umana.

Che sappia sorridere dei propri errori.

Che non si gonfi di vittorie.

Che non si consideri eletta, prima ancora di esserlo.

Che non sfugga alle proprie responsabilità.

Che difenda la dignità umana e che desideri soltanto essere dalla parte della verità e l’onestà.

L’essenziale è ciò che fa sì che la vita valga la pena di essere vissuta.

Voglio circondarmi di gente che sappia arrivare al cuore delle persone…

Gente alla quale i duri colpi della vita, hanno insegnato a crescere con sottili tocchi nell’anima.

Sì… ho fretta… di vivere con intensità, che solo la maturità mi può dare.

Pretendo di non sprecare nemmeno una caramella di quelle che mi rimangono…

Sono sicuro che saranno più squisite di quelle che ho mangiato finora.

Il mio obiettivo è arrivare alla fine soddisfatto e in pace con i miei cari e con la mia coscienza.

Spero che anche il tuo lo sia, perché in un modo o nell’altro ci arriverai…”

Mario Andrade

Poeta, romanziere, saggista e musicologo brasiliano

Prova inserimento

“Ho contato i miei anni ed ho scoperto che ho meno tempo da vivere da qui in avanti di quanto non ne abbia già vissuto.

Mi sento come quel bambino che ha vinto una confezione di caramelle e le prime le ha mangiate velocemente, ma quando si è accorto che ne rimanevano poche ha iniziato ad assaporarle con calma.

Ormai non ho tempo per riunioni interminabili, dove si discute di statuti, norme, procedure e regole interne, sapendo che non si combinerà niente…

Ormai non ho tempo per sopportare persone assurde che nonostante la loro età anagrafica, non sono cresciute.

Ormai non ho tempo per trattare con la mediocrità. Non voglio esserci in riunioni dove sfilano persone gonfie di ego.

Non tollero i manipolatori e gli opportunisti. Mi danno fastidio gli invidiosi, che cercano di screditare quelli più capaci, per appropriarsi dei loro posti, talenti e risultati.

Odio, se mi capita di assistere, i difetti che genera la lotta per un incarico maestoso. Le persone non discutono di contenuti, a malapena dei titoli.

Il mio tempo è troppo scarso per discutere di titoli.

Voglio l’essenza, la mia anima ha fretta…

Senza troppe caramelle nella confezione…

Voglio vivere accanto a della gente umana, molto umana.

Che sappia sorridere dei propri errori.

Che non si gonfi di vittorie.

Che non si consideri eletta, prima ancora di esserlo.

Che non sfugga alle proprie responsabilità.

Che difenda la dignità umana e che desideri soltanto essere dalla parte della verità e l’onestà.

L’essenziale è ciò che fa sì che la vita valga la pena di essere vissuta.

Voglio circondarmi di gente che sappia arrivare al cuore delle persone…

Gente alla quale i duri colpi della vita, hanno insegnato a crescere con sottili tocchi nell’anima.

Sì… ho fretta… di vivere con intensità, che solo la maturità mi può dare.

Pretendo di non sprecare nemmeno una caramella di quelle che mi rimangono…

Sono sicuro che saranno più squisite di quelle che ho mangiato finora.

Il mio obiettivo è arrivare alla fine soddisfatto e in pace con i miei cari e con la mia coscienza.

Spero che anche il tuo lo sia, perché in un modo o nell’altro ci arriverai…”

Mario Andrade

Poeta, romanziere, saggista e musicologo brasiliano