Prefazione di Gianni Baget Bozzo
Auguro a questo lavoro di Pino Marchionna di andare oltre i confini della provincia di Brindisi quanto a diffusione ed interesse.
Da solo, esso rappresenta una storia del linguaggio socialista, svolta con la coscienza delle variazioni. I tempi che viviamo sono tempi di cambiamento, in cui non esistono più termini verbali fissi. I valori si incarnano in diverse parole; rimanere fedele alla propria verità significa variare il linguaggio in cui essa è espressa.
Ciò appare chiaramente nella storia del linguaggio socialista che è la prima parte del saggio di Marchionna. Il PSI ha traversato un percorso linguistico complesso, perché ha dovuto modificare tutte le definizioni che si riferivano ad una società stratificata secondo divisioni sociali rigide.
La lotta socialista per l’eguaglianza è stata una lotta per la rimozione di queste barriere, una lotta per dare dignità umana ad un popolo che viveva in condizioni servili.
Il riformismo socialista è stato, sin dalle origini, un movimento per la dignità di chi era considerato merce di scambio e carne da cannone. Matteotti ha scritto su questo piano pagine che non dovrebbero rimanere polverose o dimenticate.
Per quanto sembri strano, una storia del linguaggio socialista dalla Resistenza in poi è piuttosto raro. Lombardi è stato ad esempio, il maggior creatore di linguaggio del PSI. Non tutte le sue parole di indicazione hanno avuto successo. Vidi per la prima volta Lombardi socialista (lo avevo conosciuto ai tempi del CLNAI, quando era membro del Partito d’Azione) al congresso di Genova del ’48, quando egli vinse con Jacometti inopinatamente il Congresso, coniando la parola “acomunismo”.
Era la nascita dell’autonomia socialista dopo l’esperienza frontista. E a lui che si deve la teorizzazione dell’autonomia dello Stato dal regime di classe.
Ciò avvenne nel Congresso del ’61, quando una prassi in questo senso era accolta da tutta la sinistra. Eppure il linguaggio era ancora paleo-marxista, e Lombardi venne criticato dal PCI…
Marchionna esamina il linguaggio socialista con particolare riferimento al Congresso di Torino del ’78. Qui è già evidente la crisi dell’idea dello Stato come solutore dei conflitti sociali e che il problema dell’autonomia del civile e del sociale, la lezione del ’68, è entrata nel linguaggio socialista.
Certo, vi penetra il linguaggio autogestionario, che ha avuto tanta importanza in Francia; e del resto è un linguaggio non eliminabile, poiché la partecipazione è sempre un valore cardine della democrazia. Ma la burocrazia e la pigrizia riprendono facilmente i loro diritti, e ciò è avvenuto dolorosamente nel caso della gestione della scuola.
L’autogestione richiede tuttavia una struttura della produzione che non è più quella emergente. La frammentazione e la diversificazione delle forme di lavoro crea delle aggregazioni che hanno per riferimento piuttosto la professionalità che non il controllo di una gestione accentrata.
Il linguaggio socialista ha avvertito che la struttura della produzione e del lavoro vanno cambiando; e che il problema maggiore è quello di dare respiro ad ogni forma di autorganizzazione delle professionalità. Ciò compare già a Torino, ma certamente ancor più a Rimini e dopo Rimini.
Una società complessa mantiene in sé elementi contrari e persino contraddittori. Il rischio delle nuove tecnologie è quello di produrre le divisioni in lavori qualificati, affidati a pochi ed in lavori degradati, spezzando l’unità del mercato del lavoro. Esso finisce così per privilegiare non solo aree sociali, ma ovviamente anche aree territoriali.
È questo un discordo attuale per il Mezzogiorno cui Marchionna, uomo politico del PSI nel Mezzogiorno, particolarmente si rivolge.
Anche nel locale brindisino vi è una storia del linguaggio, che ovviamente non è solo una storia del linguaggio socialista.
Marchionna mantiene in tutte le variazioni un’idea che ci sembra costituire l’identità socialista: più mercato vuol dire anche diverso Stato e diversa politica. Il politico e l’istituzionale sono i mezzi fondamentali che possono dare un senso alla democrazia, come autogoverno dell’uomo sui processi sociali. Il mercato non è di per sé il luogo dell’eguaglianza e nemmeno quello dell’equità. Cambiare le regole e diminuirne il costo sociale non vuol dire abolirle.
Del resto, in un sistema sociale come quello italiano, in cui il pubblico ha una rilevanza dominante, il politico e l’istituzionale finiscono per essere i maggiori soggetti economici. Marchionna propone una regolamentazione del loro intervento in modo tale che esso sia promozionale delle iniziative economiche e sociali. Il tema di riferimento culturale è appunto costante.
Ed è qui particolarmente significativo il fatto che Marchionna veda il pubblico soprattutto come organizzatore di servizi, in particolare di quelli bancari di cui egli propone una differenziazione per utenti.
Molte delle cose qui dette in riferimento alla realtà brindisina potrebbero essere date per altre regioni d’Italia. L’idea di creare unità di comuni su basi comprensoriali e con finalità di promozione economica è infine un’idea che potrebbe trovare applicazione anche fuori dall’area brindisina.
Quest’area è talmente complessa e differenziata da valere quale campo sperimentale per la complessità del linguaggio.
In un’area dove operano industrie pubbliche e private a grandi dimensioni nazionali che non hanno garantito un indotto proporzionato e che hanno invece subito una severa crisi, vive anche una potenzialità agricola, di terziario e di servizi che chiede un adeguato sfruttamento. Marchionna sottolinea la necessità della qualificazione della produzione agricola, una sottolineatura che diventa sempre più rilevante con il restringimento della Politica Agricola Comune (P.A.C.) della Comunità Economica Europea e con l’ingresso in essa della Spagna e del Portogallo.
Se i Progetti Integrati Mediterranei verranno varati dalla Comunità Economica Europea, il Mezzogiorno d’Italia potrebbe esserne beneficiario. Ciò richiede la capacità delle Regioni ad elaborare progetti. E anche qui torniamo al ruolo del politico e dell’istituzionale per la promozione di iniziative economiche dei singoli.
Il linguaggio socialista non può mai perdere il linguaggio dell’eguaglianza che non è egualitarismo. Eguaglianza vuol dire la stessa cosa che giustizia: dare a ciascuno il suo. È la relazione di ineguaglianza che ha in sé la potenza del dominio. Il socialismo domanda un ruolo del pubblico per dare ad ogni uomo la capacità di trasformare in meriti i suoi bisogni.
Questo è il senso socialista dell’eguaglianza non è possibile valutare qui in dettaglio le singole proposte. Esse infine coprono tutto il ventaglio delle potenzialità dell’area brindisina. Esse sono proposte dettagliate e quindi vanno valutate specificatamente: qui non si può non notare che lo sforzo di un socialista per produrre uno sguardo d’insieme è riuscito a dare il suo a ciascuno dei particolari.